Perché aiutare i colleghi nel lavoro va bene, ma non in tutti i casi?

 

È sempre giusto aiutare i colleghi sul lavoro?

Oppure esiste un momento nel quale è necessario fermarsi, per cercare di capire cosa questo comporta realmente a livello di produttività generale?

Qualche tempo fa, in ufficio, è successo questo: un amico del responsabile del team è venuto per fare un test come nuovo commerciale.

Da noi il commerciale ha una curva di apprendimento piuttosto ampia, perché parliamo di un mestiere dove è richiesta tanta formazione a monte.

Quindi questo ragazzo, un ragazzo in gamba tra l’altro, ha iniziato a studiare per prepararsi a questa fase di selezione e ha iniziato un mese prima di venire all’evento.

Tuttavia, nel frattempo, aveva anche i suoi esami universitari da portare avanti.

Quindi, per un periodo si è trovato a dover studiare entrambe le cose: l’università e la preparazione commerciale.

Morale: viene in ufficio da me per il colloquio, ma mi confessa di non essere riuscito a finire di studiare tutto il materiale nei tempi previsti.

Così facciamo una simulazione di chiamata insieme per vedere a che punto fosse: e notiamo che, in effetti, ci sono ancora diverse aree da approfondire.

A quel punto gli suggerisco di farsi almeno un giorno di simulazioni con un amico.

Ovviamente, a che amico chiede di aiutarlo?

Ma al responsabile team naturalmente, cioè all’uomo che l’ha suggerito per quella posizione.

Ma qui arriva il casino: il responsabile team anche lui, oltre a lavorare full-time insieme a me, studia all’università, e la settimana successiva al colloquio avrebbe dovuto affrontare non uno, ma ben due esami importanti.

Ma ecco che quando l’aspirante commerciale gli chiede aiuto, lui accetta: perché tiene davvero al suo amico, e sa quanto per lui questo colloquio sia importante.

Così i due passano una intera serata a fare simulazioni.

Il giorno dopo l’aspirante commerciale prova una prima chiamata dal vivo, ma si rende conto di essere ancora troppo indietro per fare bene: ha bisogno di altro allenamento.

Contemporaneamente, quasi per caso, mi capita di chiedere al responsabile del team che chance si darebbe di passare i 2 esami in programma la settimana successiva.

E lui mi confessa: “Eh Giulio guarda, non mi sento così sicuro. Tra l’altro, ieri sera non ho nemmeno potuto studiare perché ho aiutato il mio amico.”

Ecco, il mega campanello d’allarme!

“Come non hai potuto studiare?”

“Eh no, perché volevo dare una mano al mio amico, so che per lui è importante, così siamo andati avanti tutta la sera.”

Ecco: questa è la situazione che mi sono trovato davanti quel giorno.

In quel caso ho dato un input ben preciso al responsabile team, e te lo giro perché forse può essere utile anche a te.

In pratica, gli ho spiegato che il concetto chiave della questione, quando fai queste scelte con un amico, un parente, insomma qualcuno a cui tieni veramente, è capire dove sta il benessere dell’intero sistema.

Cioè, immaginando un legame di amicizia forte, dove ognuno tiene veramente all’altro, i due amici potrebbero chiedersi: “qual è la scelta giusta per entrambi nel complesso?”

Nel caso specifico, l’aiuto di uno dei colleghi nei confronti dell’altro avrebbe prodotto il rischio concreto che entrambi non avrebbero ottenuto il loro risultato:

  • L’aspirante commerciale: perché difficilmente recupererà una preparazione piena di lacune in un paio di serate di simulazione.
  • E il responsabile team: perché perderà le serate di studio più critiche, cioè quelle immediatamente prima degli esami.

In pratica, così facendo, l’esito più probabile di questa scelta è che nessuno dei due otterrà il risultato sull’altare dell’amicizia.

E in fondo questo, per entrambi, è il peggiore dei mondi possibili.

Invece, un gesto di amicizia vero da parte di entrambi, in questo caso sarebbe prendersi la propria responsabilità e supportarsi nel modo migliore, ma senza sacrificare i propri obiettivi in favore degli obiettivi dell’altro.

Dunque, se ti trovi in una situazione simile con un collega, un amico o un parente, chiediti: “qual è l’effetto di aiutare questa persona sul sistema nel suo complesso?”

Ora, ovviamente ogni caso è diverso, ma a questo proposito voglio ricordarti cosa dicono di fare in aereo, in caso di emergenza, alle madri che hanno un figlio a bordo: quando esce la maschera di ossigeno PRIMA è la madre che deve indossare la maschera. E solo poi, la deve far indossare al figlio.