La formula mentale di SHACKLETON per affrontare le difficoltà

Stai vivendo un momento difficile sul lavoro?

Pensi che in fondo le cose oggi non stiano girando come vorresti?

Beh, oggi voglio condividere con te l’incredibile storia di come l’esploratore Ernest Henry Shackleton ha tratto in salvo se stesso e i suoi uomini, da una situazione a dir poco difficilissima.

Una storia che può farti rivedere completamente la percezione delle difficoltà che stai affrontando oggi.

Ma non solo, voglio anche darti una semplice formula mentale.

Una formula da tenere sempre in considerazione, che può aiutarti a superare più facilmente queste difficoltà.

Allora, siamo nel 1914, ed è il momento delle grandi esplorazioni: le nazioni in quel periodo fanno a gara per essere le prime a compiere grandi imprese, cioè imprese che possano FARE notizia, che possano dare lustro alla propria nazione.

E in quel contesto vive un certo Ernest Shackleton, un signore che decide di mettere su un equipaggio per attraversare l’Antartide.

L’idea era attraversare l’Antartide per primo, in modo da rendere fiero il popolo inglese, popolo che tra l’altro finanziava la spedizione.

L’idea era ottima, se non fosse che la lista delle cose che andarono storte in quella spedizione è veramente degna dei migliori cultori della Legge di Murphy.

Andiamo con ordine: agosto 1914: Shackleton si imbarca su una nave dal nome molto evocativo, Endurance che vuol dire RESISTENZA, e parte da Plymouth con direzione Antartide.

La nave è piena di speranze, 28 persone di equipaggio, cani da slitta e tutto il necessario per documentare quella che sarebbe dovuta essere una spedizione trionfale, e che avrebbe reso orgogliosi milioni di inglesi in patria.

Il problema è che solo qualche mese dopo, nel gennaio del 1915, la nave si ritrova, invece, intrappolata nel PACK antartico, ovvero quel ghiaccio che si forma in quel periodo dell’anno e che in certe condizioni può diventare così resistente da impedire addirittura alle navi rompighiaccio stesse di navigare.

Quindi, l’equipaggio si trova di fronte a questa difficoltà imprevista, ma non si dà per vinto: provano per qualche settimana a proseguire, approfittando di crepe, di smottamenti nei blocchi, ma niente.

Ad un certo punto il ghiaccio stritola la nave in modo così forte, che non c’è proprio più modo di andare avanti.

Shackleton è di fronte alla prima grande difficoltà imprevista.

Ma non per questo pensa di abbandonare la spedizione.

No, decide, invece, di aspettare.

Il piano era: aspettiamo che il ghiaccio si sciolga, in modo che, nel momento in cui le condizioni lo permettono, riprendiamo subito la navigazione, di nuovo, direzione antartide, senza mollare l’obiettivo.

Ma niente: passano i mesi, ma il ghiaccio non fa quello che era nelle speranze di Shackleton, anzi fa il contrario: stritola la nave talmente tanto che dopo qualche mese l’Endurance, nonostante fosse progettata per RESISTERE, non ce la fa.

E si spezza in due letteralmente, si spacca a tal punto che nel 1915, nel novembre del 1915, tutto l’equipaggio è costretto ad abbandonare la nave e scaricare tutto il materiale che era presente al suo interno.

Dunque a quel punto Shackleton e i suoi si trovano ad affrontare una nuova difficoltà imprevista, ben più grande della precedente.

Perché si trovano in mezzo al pack antartico senza nave.

Che si fa?

Beh, come è solito fare Shackleton a quel punto decide di settare un nuovo obiettivo, diverso dal precedente, e di creare un nuovo piano d’azione per realizzarlo.

Questa volta l’obiettivo non sarà più attraversare l’Antartide, perché Shackleton stesso sa che non sarà più possibile in quelle condizioni.

L’obiettivo questa volta è riportare tutti a casa sani e salvi.

Ma pure qui, mica una roba facile: non c’è più la nave, le radio più vicine sono tutte fuori portata, e le condizioni sono piuttosto critiche per tutti.

Dunque, nuovo piano di azione di Shackleton: decide che l’equipaggio si sposterà a piedi, insieme a tutta l’attrezzatura, verso la più vicina isola, isola PAULET, che però era distante 450 km.

Facendo due conti al volo sembra che le provviste a disposizione nella nave siano sufficienti per sostenere questo viaggio, ma a patto di fare tot km al giorno.

Il gruppo così inizia la sua traversata, ma ben presto si trova ad affrontare un’ulteriore difficoltà, anch’essa imprevista.

Shackleton scopre infatti che muoversi sul Pack antartico, non non è come muoversi sulla terraferma.

La superficie continua a cambiare, si aprono crepe di continuo, e soprattutto spingere tutta quella attrezzatura, tra cui scialuppe, cani, viveri, eccetera, costringe tutti a fare lunghe deviazioni per cercare strade sicure.

Il problema è che facendo così si procedente lentamente, si procede troppo lentamente.

Pensa che questi qui, in sette giorni compiono appena 18 km, e quindi si rendono conto che andando avanti di quel passo non sarebbero mai arrivati a destinazione prima di finire le provviste.

Dunque, ancora una nuova difficoltà.

Cosa si fa a questo punto?

Indovina un po’: nuovo piano d’azione.

Shackleton decide di accamparsi sul ghiaccio, così tutti montano le tende, e l’idea era quella di aspettare la primavera.

Così a primavera il ghiaccio si sarebbe sciolto e si sarebbe finalmente potuto tornare a navigare con le scialuppe.

Solo che vivere per tutto quel tempo fermi sul ghiaccio riapriva a gran voce il capitolo provviste.

Cioè, cosa avrebbero mangiato per tutto quel tempo?

E, soprattutto, cosa avrebbero bevuto?

Perché il ghiaccio, a quelle temperature, fa fatica a sciogliersi, e quindi fai fatica anche a bere l’acqua corrente.

Beh, ecco il nuovo piano d’azione di Shackleton: ci si nutrirà di foche e pinguini, e si userà l’olio di foca, non solo per scaldare loro stessi, ma anche per creare il fuoco necessarie per sciogliere il ghiaccio, e quindi per poter bere.

E, a questo punto, si dovrebbe riuscire ad arrivare belli belli fino a primavera.

L’idea è questa, ma ad un certo punto di nuovo, nuova difficoltà imprevista.

Tutti gli animali della zona, che evidentemente non sono proprio scemi, cominciano ad evitare giustamente la zona di caccia dei marinai.

E quindi il cibo inizia nuovamente a scarseggiare.

Quindi, come si fa a sopravvivere?

Eh eh, nuovo piano d’azione.

Magari questo, non un piano di azione tanto apprezzato ovviamente dai suoi marinai, ma necessario.

Shackleton decide di abbattere i cani da slitta e di usarli come viveri per poter superare quel momento.

Una decisione naturalmente difficile da cogliere, non solo per lui, ma per tutti.

Una decisione che era non il massimo della popolarità, ma sembrava l’unica strada percorribile.

Della serie: fai ciò che è necessario.

E in effetti il sacrificio dei cani funziona, consente all’equipaggio di arrivare fino ad aprile, dove finalmente gliene va dritta una.

Il ghiaccio si scioglie, e Shackleton riesce finalmente a mettere questa grandi scialuppe in mare.

A questo punto nuovo obiettivo, nuovo piano di azione: si salpa per l’isola di Desolation (i nomi sono veri, non li ho inventati io),che distava 300 km a ovest.

Ma una volta salpati, porca miseria, nuova difficoltà imprevista.

Mentre sono in mare, infatti, i marinai si rendono conto che scialuppe come quelle che avevano, ovvero scialuppe scoperte, beh con i venti del mare a 40 km all’ora e l’acqua che continua ad entrare da tutte le parti, beh era veramente impossibile bruciare l’olio di foca, che pur si erano portati via.

E senza olio di foca: niente cibo, perché il cibo è congelato.

Ma soprattutto: niente acqua, perché il ghiaccio, a quelle temperature, non si scioglie.

Dunque di arrivare a destinazione in quelle condizioni non se ne parla proprio.

Cosa si fa dunque? Si fa un nuovo piano d’azione.

Si cambia rotta: l’isola di Desolation era effettivamente troppo lontana, per cui si ripiega sull’’isola Elephant, isola più vicina.

All’isola effettivamente arrivano tutti i marinai nell’aprile del 1916, ma si rendono conto che sono passati solo da uno stato di difficoltà ad un altro.

L’isola, infatti, non si rivela il massimo del comfort: parliamo di un pezzo di roccia senza grandi risorse e, soprattutto, lontano dalle rotte commerciali, e ancora con la radio fuori portata.

Per cui stare lì fermi ad aspettare che arrivino i soccorsi era davvero troppo improbabile.

Il problema è che anche lì non potevano andare avanti a lungo con le provviste che avevano.

Gli animali, prima o poi, si sarebbero spostati, proprio come era già successo sul pack.

E l’inverno stava arrivando nuovamente.

Dunque, come fare?

Nuovo piano d’azione: costruiamo una scialuppa, una scialuppa però un po’ più potente, più strutturata delle precedenti, proprio andando a prendere il materiale dalle scialuppe con le quali erano arrivati fin lì, e con questa nuova scialuppa puntiamo ad arrivare alla Georgia del Sud, che è un luogo comunque abitato.

Ora, non pensare che questo piano di azione fosse un piano di azione facile o esente da rischio: pensa che quel viaggio che avevano progettato voleva dire navigare per oltre 1500 km in pieno oceano, ma non un oceano a caso, uno degli oceani più difficili del mondo.

Un oceano ancora oggi teatro di naufragi con le navi di adesso, un oceano che ha venti che vanno fino 70 km all’ora e onde fino a 20 metri di altezza.

Pensa che il successo di quella missione era così improbabile per quell’epoca, che Shackleton stesso per non rischiare la vita di tutti gli uomini decide di andare lui e soltanto altri 5 uomini, cioè il minimo indispensabile per riuscire a tenere la rotta e arrivare, con ovviamente una navigazione di successo, in Georgia.

Non solo: Shackleton decide di portare via provviste solo per 4 settimane.

Tanto lo sa, se in 4 settimane non sono arrivati, significava una sola cosa: voleva dire che erano morti, e quindi le provviste non avrebbero avuto alcun senso.

Ma, ovviamente in quella condizione, Shackleton e i suoi decidono di provare comunque, anche perché onestamente non c’erano altre idee migliori rispetto a questa.

E cosa succede? Succede che la fortuna aiuta in questo caso gli audaci: perché 15 giorni dopo i 6 marinai approdano finalmente in Georgia del Sud, compiendo una delle traversate marinaresche ancora oggi riconosciute come una tra le più leggendarie di tutti i tempi, soprattutto considerando i mezzi che avevano a disposizione in quel periodo.

Ma arrivati in Georgia del Sud, ancora una volta, una nuova difficoltà

Infatti, i ragazzi non sono arrivati nel lato giusto della Georgia del Sud, cioè quello abitato.

No: sono finiti dall’altra parte.

Sono finiti in un luogo desolato, un luogo inospitale, e quel che è peggio, con una montagna da scalare che li divideva dal primo centro abitato.

E giusto per giocare il carico: una montagna che ai loro tempi nessuno era mai riuscito a superare.

Non solo: 3 dei 6 marinai che erano arrivati lì erano in condizioni critiche, e non c’era verso di arrivare tutti vivi dall’altra parte.

Dunque come fare?

Niente, nuovo piano d’azione: si va solo in 3, Shackleton e altri 2, e poi si tornerà a prendere gli altri.

Dunque, i 3 partono e SENZA cartina compiono l’ennesima impresa storica: attraversano una montagna, che a detta degli alpinisti, ma degli alpinisti di oggi, è una montagna estremamente difficile da attraversare.

E loro l’attraversano così, in quelle condizioni, e senza mezzi veramente importanti, ma solo con mezzi di fortuna.

Ma una volta arrivati dall’altra parte, diresti che è finita, che finalmente sono arrivati nella civiltà, e finalmente si può andare a riprendere l’equipaggio che era rimasto a casa

In effetti, il piano era semplice: arriviamo lì, chiamiamo gli inglesi in patria, e chiediamo a loro di organizzare una bella spedizione di recupero con tutti i crismi.

Ma niente, anche qui, nuova difficoltà: Shackleton scopre che l’inghilterra, a causa della guerra, non avrebbe inviato una spedizione di soccorso per almeno altri 6 mesi.

Troppo tempo, non avrebbe ritrovato il suo equipaggio vivo.

Così, nuovo piano d’azione: Shackleton inizia da solo ad inviare richieste di aiuto a tutte le basi limitrofe che gli venivano in mente.

E non ce la fa al primo colpo a recuperare il suo equipaggio.

No, per ben 2 volte i tentativi di recupero falliscono, a causa delle condizioni del meteo che erano veramente proibitive per quell’epoca.

Ma alla fine, alla terza volta, riesce finalmente a raggiungere il suo equipaggio e a riportare a casa quasi tutti, non tutti, ma quasi tutti, sani e salvi, vivi e vegeti.

Ecco, questa è la storia di Shackleton e del suo grande e leggendario “fallimento di successo”, come qualcuno lo chiama.

Ora, forse, leggendo questa storia la percezione della grandezza delle difficoltà che tu stai affrontando nel tuo lavoro forse è leggermente cambiata.

E forse hai anche già capito, anzi sono sicuro che avrai già capito uno dei segreti che usava Shackleton di fronte alle difficoltà.

Perché vedi il suo processo è molto semplice: nuova difficoltà, nuovo obiettivo in base a quello che permette di fare questa difficoltà, e a questo punto nuovo piano d’azione per ottenere questo obiettivo.

Processo in 3 passi molto semplice: nuova difficoltà, nuovo obiettivo, nuovo piano di azione.

Ma c’è una frase speciale che ha accompagnato Shackleton in tutta questa storia.

Una frase che, se la registri nella tua mente, può darti la forza di costruire anche tu un piano d’azione per qualsiasi difficoltà incontri.

Una frase che è stata proprio il PRESUPPOSTO di tutte le azioni di Shackleton, e che lui stesso ci ha lasciato in uno dei suoi scritti.

La frase è: “Le difficoltà esistono solo per essere superate, dopotutto“.

Tienilo a mente anche tu.